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L’invecchiamento della popolazione umana è un processo progressivo e multifattoriale, caratterizzato da una progressiva perdita delle capacità funzionali e da una crescente comorbidità, direttamente correlato all’avanzamento dell’età.
Tale processo si associa all’aumento dell’aspettativa di vita e rientra nel fenomeno della transizione epidemiologica che segna il passaggio da una situazione in cui erano prevalenti le malattie infettive e carenziali ad un’altra caratterizzata dalla preponderanza delle malattie cronico-degenerative.
A tali assunti viene oggi associata la constatazione che lo stato di salute dell’anziano non è più identificabile dalla sola ridotta presenza di malattia. Si osserva, invece, che una buona condizione di salute è legata al mantenimento del benessere psicofisico e relazionale, pur in presenza di patologie multiple.
Il benessere e lo stato di salute della popolazione anziana viene attualmente misurato utilizzando indicatori compositi che considerino l’aspettativa di vita libera da disabilità.
Il DFLE (Disability Free Life Expectancy) è fra quelli più utilizzati e permette di combinare informazioni su mortalità e disabilità, estendendo il concetto di aspettativa di vita al di là del semplice numero di anni vissuti. Il risultato fornito consiste, infatti, nel numero di anni vissuti in assenza di limitazioni funzionali nell’espletamento delle attività quotidiane rivolte alla persona.
L’originalità di questo nuovo orientamento risiede nell’avere individuato, quali obiettivi fondamentali della salute dell’anziano, il mantenimento dell’autosufficienza unitamente ad una accettabile qualità della vita.
Il raggiungimento di tali obiettivi è strettamente legato sia ad interventi di prevenzione nei confronti dei principali fattori di rischio che al trattamento specialistico di eventuali patologie preesistenti.
In ogni caso la strada maestra del nuovo modo di gestire il fenomeno dell’invecchiamento è quella di evitare l’ospedalizzazione. Si prediligeranno, difatti, interventi mirati sul territorio attraverso una rete integrata di servizi socio-sanitari destinati:
- alla promozione di adeguati stili di vita in ogni età;
- alla facilitazione dell’accesso ai servizi;  
- alla integrazione del soggetto nel proprio contesto sociale;
- alla valutazione multidimensionale finalizzata all’individuazione dell’anziano “fragile” (a rischio di perdere l’autosufficienza);
- all’attuazione di programmi di riabilitazione e cura personalizzati.
Tutto ciò richiede, però, una drastica ridefinizione delle misure e delle risorse destinate alle fasce di popolazione anziana nelle quali è più alto il rischio di malattia e di perdita di autosufficienza.
Disporre del suddetto assetto organizzativo è di cruciale importanza per i sistemi socio-sanitari delle nazioni evolute che già da tempo hanno sperimentato l’autunno demografico associato alla progressiva carenza della protezione socio-familiare tradizionale.
Nel corso del 21° secolo si verificherà una redistribuzione delle fasce demografiche senza precedenti: entro il 2050 la popolazione anziana tenderà a raddoppiare, passando dall’11% al 22% della popolazione totale.
Nei prossimi 5 anni, per la prima volta nella storia dell’umanità, il numero di individui di età uguale o superiore a 65 anni supererà quello dei bambini al di sotto dei 5 anni.
Tanto nei Paesi in via di sviluppo che in quelli a più alto reddito si assisterà, proporzionalmente alla crescita della popolazione, ad un aumento del numero di soggetti anziani con disabilità derivante principalmente dall’insorgenza di malattie non trasmissibili.
Con l’aumento dell’aspettativa di vita e il raggiungimento di un rapporto sempre più sfavorevole tra popolazione attiva e non attiva, tenderà ad aumentare anche l’onere previdenziale correlato all’assistenza e alla cura agli anziani. Tale fenomeno è noto come to longevity shock è già da tempo è stato prefigurato come imminente dal Fondo Monetario Internazionale.
Appare estremamente evidente che la coesistenza della doppia transizione, epidemiologica e demografica, incrementerà inevitabilmente l’incidenza di numerose patologie neurodegenerative e, particolarmente, di quelle che si caratterizzano per il deficit neuro-cognitivo age associated.
Si può quindi concludere che se da un lato l’aumento della longevità rappresenta una indubbia conquista, in quanto testimonianza del crescente miglioramento delle condizioni di vita e dei progressi della medicina, dall’altro potrebbe trasformarsi in una futura minaccia per la coesione sociale in assenza di una rinnovata capacità di programmazione sanitaria orientata all’assistenza, alla cura e al benessere degli anziani.

 

I links appresso riportati costituiscono la rassegna sull’argomento:

https://www.epicentro.iss.it/ben/2012/aprile/2

https://www.salute.gov.it/portale/documentazione/p6_2_2_1.jsp?lingua=italiano&id=3094

https://www.eurofound.europa.eu/it/topic/ageing-workforce

http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1847_allegato.pdf

https://www.fiscooggi.it/rubrica/dal-mondo/articolo/locse-spiega-leta-della-popolazione-e-effetti-sul-gettito

http://www.azioniquotidiane.info/articoli/stili-di-vita-strategie-pianeta/da-una-popolazione-che-invecchia-nuove-sfide-per-il-welfare

https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2021/06/18/fiscal-sustainability-conclusions-on-challenges-arising-from-an-ageing-population/

http://www.secondowelfare.it/primo-welfare/ageing-debate-the-issues.html

http://www.sefap.it/web/upload/GIFF3_2014_10_Atella_ras_1.pdf

                                                                                                                                           Agostino Scardamaglio

 

 

 

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