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La progressiva evoluzione verso la prevalenza di malattie croniche e degenerative è da tempo nota nell'ambito della Sanità Pubblica come “transizione epidemiologica”.
Secondo la teoria suddetta, proposta per la prima volta da Abdel Omran nel 1971, tutte le società affrontano nel corso del processo di modernizzazione tre “età”: quella delle pestilenze e delle carestie, quella della remissione delle pandemie ed infine l'età delle malattie degenerative ed antropogeniche, con la progressiva riduzione del carico di mortalità e morbosità dovuto alle malattie infettive e la prevalenza della mortalità attribuibile alle malattie cronico-degenerative ed agli eventi traumatici.
Alla base della transizione epidemiologica e del conseguente mutamento del quadro demografico e della possibilità di aggiungere anni alla vita, coesistono una serie di determinanti, non facili da identificare, spesso ricompresi nel concetto di “processo di modernizzazione”.
Mutamenti ecobiologici, socioeconomici, politici e culturali ed, infine, gli avanzamenti della medicina e delle modalità di assistenza sanitaria, sono tra i macro-fattori più frequentemente richiamati nel determinismo della transizione epidemiologica.
Il ruolo dei progressi della biomedicina nel processo di riduzione della mortalità è stato di recente ridimensionato rispetto al preponderante ruolo dei miglioramenti igienico-sanitari, delle condizioni di vita e della nutrizione. La disponibilità di acqua, casa ed alimentazione sono, da sole, in grado di fare la differenza per la salute delle popolazioni.
Ne consegue che una medicina di zona, ispirata a criteri preventivi di sanità pubblica, sia la più idonea alla tutela della salute per gli anni a venire.
A dispetto dalla suddetta considerazione l'organizzazione “ospedalocentrica”, comprensiva delle attività collaterali di reclutamento e follow-up, risulta ancor oggi prevalente in quanto accettata non solo dalle organizzazioni sanitarie, ma anche dagli individui e dalle comunità.
La medicina clinica ha avuto così il sopravvento sulla sanità pubblica trovando nell’aspetto remunerativo premiante dell’erogatore il suo elemento propulsivo. Ciò è avvenuto in nome di un “quasi mercato” sanitario favorito e promosso universalmente:
- dal processo di aziendalizzazione del S.S.N (sistema dei DRGs, appropriatezza, L.E.A., ecc.);
- dai medici e dai loro rappresentanti di categoria (intramoenia, prestazioni aggiuntive, convenzioni, ecc.);
- dai rappresentati delle strutture sanitarie pubbliche e private (poliambulatori privati e convenzionati);
- dalle industrie farmaceutiche e biotecnologiche (le varie linee di farmaci dedicate alla medicina clinica, tecnologia diagnostica e interventistica sempre più sofisticata, ecc.).
L’emergenza pandemica da SARS-Covid2 sembra avere ridimensionato il determinismo della transizione epidemiologica e sanitaria riproponendo la mortalità per malattie infettive a livello planetario.
Con lo storico lavoro di John Snow sull′origine del colera che nel 1854 aveva colpito Londra, l′epidemiologia si dimostrò uno strumento potente di sanità pubblica, capace di mettere in evidenza le associazioni tra agenti e/o condizioni ambientali e specifiche malattie infettive, e di individuare le misure necessarie per contenerne la diffusione.
Successivamente, per oltre un secolo, la sanità europea ha tratto grande profitto dall’applicazione di tale metodologia attraverso l’ istituzione capillare di presidi di sorveglianza sanitaria pubblica territoriale.
In Italia, prima della riforma sanitaria che ha istituito i dipartimenti di prevenzione (DLgs n.502-1992), esisteva una vigilanza a livello provinciale (ufficio provinciale diretto dal coordinatore sanitario provinciale) e comunale (ufficiale sanitario, medici condotti, consorzi; assistenza medico-chirurgica, ostetrica e veterinaria) composta da un considerevole numero di medici, infermieri e personale di supporto.
Nell’ultimo trentennio si è invece ritenuto:
- che le malattie infettive potessero essere tenute sotto controllo con gli antibiotici e i vaccini;
- che la più remunerativa medicina clinica, associata ad una complessiva diminuzione della spesa sanitaria, fosse il modello da seguire per la gestione sanitaria in toto;
- che il campo d’azione dell’epidemiologia dovesse spostarsi altrove.
In virtù di tali considerazioni è auspicabile che gli interventi di potenziamento del sistema sanitario approvati per fare fronte all’emergenza pandemica da nuovo coronavirus, costituiscano il preludio di una più incisiva riorganizzazione della sanità pubblica territoriale e di una sua sagace integrazione con la medicina clinica e nosocomiale.
Difatti, se la prevalenza delle patologie cardiovascolari e tumorali non sembra essere messa in discussione, è necessario essere preparati all’insorgenza, non episodica, di nuove e clamorose epidemie favorite dai cambiamenti climatici, dalle migrazioni e dal mutato habitat naturale nel quale vivono molte specie animali.

 

 

Links per la rassegna sull’argomento:

 

https://www.simmweb.it/images/congresso2018/presentazioni/SIMM2018_19apr_Trovato.pdf

https://www.treccani.it/enciclopedia/la-seconda-rivoluzione-scientifica-scienze-biologiche-e-medicina-transizione-epidemiologica-e-transizione-sanitaria_%28Storia-della-Scienza%29/

http://salute.bassosangrotrigno.it/index.php/che-cose-la-fragilita-come-definiamo-ora-la-salute/

https://www.cdscultura.com/2021/03/la-transizione-sanitaria/

https://www.saluteinternazionale.info/2011/12/le-malattie-croniche-il-mercato-patogeno/

https://forward.recentiprogressi.it/it/rivista/numero-20-avviene/articoli/la-crisi-di-identita-dell-epidemiologia-italiana/

https://wikiita.com/epidemiological_transition

https://www.larivistamedicaitaliana.it/pubblicazioni2013/2_2013/Governance.html

 

                                                                                                            Agostino Scardamaglio

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